L’autore di questo romanzo lo definirei un cattedratico, un professore universitario che fa sfoggio della sua immensa cultura per ammaliare noi comuni mortali. Non c’è afflato poetico in tutto il libro. Parole, parole estemporanee circoscritte attorno a personaggi realmente vissuti di una certa notorietà e quindi immortali. Lo considero un professore che sta tenendo un corso di scrittura, traspare questo a volte in modo chiaro e per niente ben accetto. Lo scopo è di far sapere a tutti quanto è padrone della tecnica di scrittura e quanto si ritiene anche lui immortale. Prende spunto dalla vita reale di alcuni personaggi per ricamarci sopra una serie di congetture, anche colte alcune. Io non amo i parolai, quelli che per interi capitoli parlano e parlano intorno ad un concetto e non si decidono di passare oltre. Le due protagoniste: Bettina e Laura, la prima un personaggio realmente esistito che ha legato la sua immortalità al grande scrittore e drammaturgo Johan Ghoete ; l’altra, un personaggio inventato, hanno in comune una vena di pazzia che le contraddistingue dalla massa. Sono soprattutto due egocentriche, che riescono con astuzia a tirare le fila del destino anche altrui per il proprio tornaconto e benessere. I dialoghi sono quasi inesistenti. Spesso senza capo né coda, surreali come i personaggi, la maggior parte delle persone fallite. Personaggi grigi che non riscuotano in me nessuna simpatia. Ho trovato interessanti le ultime pagine dove si accenna all’ importanza della donna. Ma per tutto il resto è un libro noioso e più volte ho pensato di lasciarlo a metà lettura. Questo è quanto penso io, un altro potrebbe dissentire, padronissimo di farlo. Milan Kundera rimane sempre un grande scrittore del '900.